Le ceramiche di Giorgio Piccaia
Arcana Terra, testo di Manuela Boscolo
"Ogni affermazione è
il perfetto contrario
della sua negazione"
Le ceramiche di Giorgio Piccaia sono
belle.
Piacciono. Incuriosiscono e con la loro
filantropica malizia, intrigano, pagano gli occhi e il cuore.
Quando le guardo, una dietro l'altra,
mi piace pensare di doverne scegliere una, e non so decidermi. Nessuna si fa
scartare; hanno tutte qualcosa da raccontare; in ciascuna, una grande energia.
Energia, energia, energia, forza e
ricerca. Questo trovo. E tanto altro.
Ogni opera mi sembra sostenuta da un
enorme esercito d’intenti.
Pensiero e fantasia e ricordo e
immaginazione si mescolano di volta in volta formando un impasto nuovo, dal
profumo differente, dal colore e dalla densità che non sono mai gli stessi.
Profili chimici e sinapsi sempre in
movimento.
Evoluzion-arte ed evoluzionare.
Cambiamo il mondo!
Questo va avanti e noi che si fa?
Scendiamo sotto terra se non esplodiamo
in un rinnovamento costante e chi non ce la fa, usa la forza degli altri: usa
il pensiero di scrittori, le immagini degli artisti, le parole e i suoni di chi
ascolta il mondo e il suo battere incessante.
Palpito di cuore. Palpito di colori.
Forme che si plasmano sulla terra e
spariscono nella sabbia, colori che il sole cancella in un attimo.
Piccoli flash di piacere nel vederli
catturare da Piccaia.
Cercatore di farfalle, collezionista di
sogni immortali che strappa al cielo, come pezzi, e li tiene, per se stesso.
Per il suo mondo interiore.
Per non lasciarlo sciogliere sotto le
scogliere.
Terra, luce, forma non bastano.
Anche un castello di sabbia fatto con i
secchielli lontano dalla riva avrebbe le stesse caratteristiche.
Terra, luce, forma e pensiero.
L'Io: conscio, inconscio, determinato
all'immagine idiomatica e all'astrazione di concetti base, incipit dal sapore
arcaico e meccanismi motòri del tempo.
Che son sempre quelli, la stessa
affermazione già scritta a caratteri cubitali sul frontone del tempio di Delfi
dedicato ad Apollo "Conosci te stesso" che da sempre muove e agita le
acque della tormentata natura umana.
Guardo fuori? Giusto, Torno dentro?
Giusto: ma sto fuori e dentro, o sto dentro e fuori?
E se paragonassi dentro e fuori?
Oppure: se portassi dentro quello che trovo fuori?
Nulla di folle. Solo umane
riflessioni.
Ma se il pensiero diviene anche una
necessità creativa, ecco che Piccaia mi sta offrendo una sua personalissima
opinione e, allora tutto è lecito.
S’inizia il giro di valzer e saltan
fuori note uniche e particolari, miste a cromature e a una figurazione
circolare, sempre differenti, guidate da un unico direttore d'orchestra che è
l'ispirazione della volontà primaria di essere.
Le opere sono dense, profonde ma
altrettanto sobrie e scattanti.
Dal tratto deciso, universalizzano
nella loro essenza ogni equilibrio temporale e si concentrano sulla ricerca di
una perfezione interiore, trasmessa attraverso un gioco di musica e colore,
materia e riflesso.
Gira la forma, gira in tondo e le
increspature aguzze del gesto rapace, scattante, nervoso e fibroso che sostiene
l'idea e la figura, si pareggiano in un equilibrio perfetto.
Parentesi immobile e linguaggio
atemporale condizionano i colori che si susseguono in una medesima alternanza,
tra caldi e freddi, chiari e scuri.
Parentesi piatte, bifocali, sagome e
icone, misticismo celato dalla più totale e amplia serenità d'animo, fluente
sotto lo sguardo, al quale ritorna soltanto una sensazione di pacato piacere.
La terra chiama la memoria in un
ritroso viaggio a Lascaux, sotto la montagna, tra umida corteccia e sassi, nel buio,
dove le luci dei fuochi hanno dato la vita agli stessi rituali che l'uomo
insegue e ritrae e rincorre, fuori dal tempo e dalla storia.
Anch'esse richiami di un sapere
collettivo superiore, che scava e va sotto, nell'anima (o nei geni?), dove
scritti col sangue e col fuoco, nell'aria e nell'acqua ci sono i codici della
vita e l'istinto che li traccia è dettato dal pianto d'un bambino, che è uguale
per tutti. Ovunque. Sempre.
Questa è la memoria che affiora, come
se Piccaia sentisse il bisogno di condividere con il tempo e con gli altri e
con se stesso, la natura e il suo equilibrio, la vita e il sole e la luna e lo
spazio e il calore e il freddo e tutti gli equipollenti poetici, matematici,
figurativi e astratti.
La dualità di cui siamo composti
attraverso ogni mezzo, il ritorno al passato, che è una corsa al futuro, questa
evoluzione che al centro crea un vortice nullo ed è tutto lì.
La bellezza è insita nelle cose e che
l'occhio che guarda vede sempre alla stessa maniera.
Con il cervello.
Eppoi, attraverso il ricordo, qualche
cosa scende al cuore.
I ricordi come file, libri scritti col
sangue rappreso, con pagine di ragnatele e farina di polvere.
Fragili e fluttuanti tanto che corrono
dappertutto e si fa fatica a ricollocarli al loro posto.
Contagiano, i ricordi: anche l'emozione
e il tempo in cui son nati si confondono con un altro tempo, e di tutto fanno
un grande impasto... un impasto bruno e umido che può essere plasmato e con
questo farci delle cose.
E' così che nascono le opere in ceramica
di Piccaia.
Si colorano dei suoi vizi e delle sue
virtù e poco importa se ne abbia tratto inspirazione anche altrove, giacché il
sapere stesso è ispirazione.
La sua produzione è: La Sua Produzione,
ed è in questa grande complessità che la si vuole vedere e valutare e
assolutamente non paragonare a null'altro che alla storia di un uomo.
Piatti tondi o quadri circolari?
Mi ha sempre affascinato la scelta
difficile della ceramica.
Unica quanto la scultura o la
fotografia o la tecnologia d'avanguardia, o quella divertente surrealità della
provocazione in performance fanta-futuribile.
Niente provocazioni nella semplicità
della ceramica, né racconti di un reale terribilmente reale, dove il male è il
male e il bene è il bene.
No.
Non sto prendendo in giro nessuno; è
solo un po’ d’ironia che nasce nel veder procedere le cose con il movimento
"onda": tutta la massa che va decisamente in avanti, fino al grande,
plateale finale a sbuffo... che però non è il vero finale... ma solo la scena a
effetto, il mezzo giro fatto, prima di rientrare in sordina, di tornare
indietro alla massa madre.
Il movimento onda che porta all'eco di
ogni pensiero per ricader nella sostanza tangibile, semplice, che giace ai piedi del suo essere incessante.
E' nel suo girare instancabile che
Piccaia si confronta.
E' la forma circolare, è la pura
materia, è il limbo ovvio dell’emo-zona
che lo cattura e nel vortice della vita, che ha il suo equilibrio
proprio nella sua imperfezione, Piccaia torna alla Sua "massa madre"
e si confronta con gli spiriti dell'acqua, con la voce dell'origine, che
ascolta ed ha trovato.
Un dialogo fatto di tracce e di terra e
di quadri rotondi che girano insieme uno in fila all'altro sulla linea del
mondo, che è rotondo anch'esso come tutti i pianeti.
Come la cellula e l'atomo.
Dialoghi di linee e di segni; quelli
dell'essere umano, quelli che il fulmine è sempre una linea a zig-zag perché
associamo le idee nella stessa maniera, finché condividiamo gli stessi elementi.
Istinto che lega e non fa volar via.
Quanti artisti ci son passati? Dalle
teorie e dai concetti che invadono impalpabili e inafferrabili come gas ogni
angolo e ogni anfratto, all'ingombrante peso della materia, sicura, calda,
affascinante.
E tanto più l'iperbole si allarga in
amplissima rivoluzione, tanto il ritorno indietro è profondo, radice sommersa
in multipla biforcazione che irriga un corpo solido ma pulsante e la differenza
si trasforma in opposto.
Neppure dobbiamo cercare troppo in là
con gli anni, che l'arte non significava pensiero.
E' sufficiente sguazzare un attimo
nell'arena moderna per vedere quanti tra i più grandi maestri abbiano rivolto
la loro attenzione alla storia, al passato, attraverso l'utilizzo proprio della
ceramica.
Picasso, tra i primi e Kandinskij e Giò
Ponti ed è antipatico citarne altri.
Ciascuno a modo proprio, affascinati
dalla stessa voglia di ricerca.
E tutti con un'uscita perfetta del
proprio stampo.
Nell'opera di Piccaia ho trovato la
voglia di riscoprire la forma piena dell'uomo, le sue origini lontane e la
poetica strutturale di un'idea di civiltà ampliata allo spazio e romanticamente
costruttivista.
"... sono nato nella natura, sono
nato a Strasburgo, sono nato in una nuvola, sono nato in una pompa, sono nato
in una gonna. ho quattro nature. ho
cinque sensi. senso è una non-cosa. natura è un non-senso. posto da per la natura da. la natura è un'aquila bianca... "
Hans Arp, 1932.
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